NOSTRA SIGNORA DELL’ACCOGLIENZA

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La Madonna Bruna del Carmine Maggiore in Napoli

La fede in Gesù Cristo crea nella nostra esistenza un avvenimento di
accoglienza e di condivisione, che si intreccia inevitabilmente con quella
del nostro prossimo. Nella fede, infatti, noi siamo chiamati ad accogliere il
“Dio con noi” e a guardare gli altri non come degli avversari da
combattere, ma come dei fratelli da amare. È questo l’insegnamento eterno
che Gesù ci ha affidato e che la comunità cristiana non si stanca di
proclamare e di testimoniare. Il Figlio di Dio è venuto ad abitare in mezzo a
noi e non sempre è stato accolto. Ma l’umanità ha bisogno di accogliere
Dio e di accogliere l’uomo, superando l’individualismo egoistico, che,
come diceva Madre Teresa di Calcutta, è il vero “cancro della società”.
Anche l’arte cristiana, e in modo particolare l’arte mariana, ci
insegna a vivere questa fraternità amichevole e accogliente. Infatti noi
comunichiamo anche attraverso l’immagini e non solo attraverso la parola.
«Le immagini» – ha scritto il giornalista Michele Smargiassi – «continuano
ad essere le risposte che gli occhi danno alle domande della mente»: così
anche le splendide raffigurazioni della Vergine Maria sono una risposta alla
nostra costante ricerca di verità e di bellezza.
Possiamo attingere al patrimonio dell’arte carmelitana, precisando
che bisogna anzitutto distinguere tra: 1) opere che si trovano in ambiente
carmelitano; 2) opere nate dalla committenza carmelitana; 3) opere che
raffigurano chiaramente la Madonna del Carmine. In tale contesto non
possiamo non partire da quella che è considerata la più antica immagine
dell’ambiente carmelitano, la Madonna Bruna (fig. 1) custodita nella
basilica del Carmine Maggiore in Napoli (fig. 2).

L’immagine si presenta come un’icona e corrisponde a un preciso
modello molto diffuso nell’arte bizantina, il modello della eleoùsa (= Maria
madre della misericordia) con l’ulteriore sfumatura della glykophiloùsa (=
Maria madre della tenerezza). Ed è proprio un senso di tenerezza
accogliente e avvolgente che l’opera comunica.
Notiamo come il gruppo di Maria e il Bambino si stagli su un fondo
oro: l’oro è simbolo della divinità, perché è il materiale più prezioso, non si
corrompe e proietta luce; perciò è in Dio che noi contempliamo l’evento
della maternità della Vergine. E, proprio perché «Dio è luce e in lui non c’è
tenebra alcuna» (I Gv 1, 5), nel dipinto non c’è ombra. Lo splendore della
santità, colta nel suo vertice di perfezione, risplende negli stessi personaggi,
che vengono raffigurati frontalmente. Non ci troviamo però davanti a
ritratti realistici, bensì ad una trasfigurazione dei soggetti presentati.

 

Maria abbraccia il Bambino e volge lo sguardo verso gli osservatori,
invitandoli ad entrare in quell’abbraccio e a sentirsi accolti come «figli nel
Figlio» (cfr. Gal 4-7). Il suo manto è di colore azzurro, perché lei, che è
una semplice creatura, è stata rivestita di una missione celeste, in
armoniosa diversità dal colore rosso che copre Gesù, in quanto, Figlio di
Dio, ha assunto la nostra natura umana fatta di carne e sangue.
Sul manto di Maria, all’altezza della sua spalla destra, appare una
stella, a indicare la luce della sua verginità. Mentre la madre regge il
Bambino, questi con la destra le accarezza il mento, in atto di estrema
dolcezza. Lo sguardo della Vergine è pieno di attenzione premurosa e
gentile, ma anche di preoccupazione: lei sa che la strada di quel Bambino
sarà segnata dal mistero della croce. E, mentre lo stringe a sé con la mano
sinistra, con la sua destra lo regge e lo indica a noi come Maestro da
seguire, Amico da accogliere, Signore da adorare.
Il titolo con cui questa icona è popolarmente conosciuta, Madonna
Bruna, è un evidente riferimento al colore prevalente del volto di Maria e
del Figlio. Questa caratteristica trova il suo fondamento nella Bibbia,
precisamente nel Cantico dei Cantici (1, 5-6): «Bruna sono ma bella» e
aggiunge «perché il sole mi ha abbronzata». Gesù è il sole, Maria è la
creatura che più di tutte è vicina a lui: perciò questa abbronzatura della sua
pelle altro non è che l’espressione della sua completa partecipazione alla
vicenda del Messia.

 

Sull’immagine originale risaltano le due corone applicatevi
successivamente, come riconoscimento della regalità di Cristo e della Madre.
La ospita una ricca edicola (fig. 3) capolavoro dell’arte rinascimentale,
probabile opera di Tommaso e Giovan Tommaso Malvito: angeli e profeti
cantano le lodi della loro regina e proclamano la gloria di Cristo trionfatore
sul peccato e sulla morte.
La nostra icona, dunque, risale probabilmente al XIII secolo e affonda
le sue radici nel mondo bizantino, il cui stile artistico è condiviso
praticamente da tutta la cristianità medievale, anche da quella dell’occidente,
fino alla rivoluzione giottesca. Essa, secondo la tradizione, fu accolta a
Napoli portatavi da un gruppo di Carmelitani in fuga da persecuzioni
saracene nel territorio del Monte Carmelo, una montagna che si trova tra il
Libano e la Palestina; attualmente appartiene al territorio di Israele. Su quella
montagna, come ci racconta la Bibbia, i profeti Elia ed Eliseo, ispirati da Dio,
avevano abbattuto le false divinità della mentalità pagana. Ancora sulle balze
di quell’altura molti monaci durante il medio evo avevano approfondito la
loro esperienza religiosa e, pertanto, assunsero il nome di Carmelitani.
Sia, dunque, nella sua vicenda storica sia soprattutto nel suo
significato figurativo questa immagine ci parla di accoglienza: Maria

accoglie il divin Figlio come il dono più grande, il Figlio accoglie la Madre
come Colei che condivide la sua missione di salvezza, tutti noi siamo
chiamati ad entrare in questo evento di accoglienza. Evento che, tuttavia,
non è un dato acquisito una volta per sempre: esso, in realtà, è un processo
che richiede tempo, impegno, investimento di speranze e di energie.
La fiducia è il vero terreno di coltura dell’accoglienza e
dell’amicizia: come Dio ha avuto fiducia di noi e attraverso Maria ci ha
consegnato suo Figlio, così noi, a nostra volta, siamo invitati crescere nella
fede verso Dio e nella fiducia reciproca.
Siamo invitati ad esprimere quegli stessi sentimenti che l’icona
napoletana ci suggerisce: un’accoglienza ricca di disponibilità, di
comprensione, di tenerezza.

Vincenzo Francia

figura 2

 

figura 3