La Mancanza d’Infinito

Francesco Astiaso Garcia ©

Sono profondamente convinto che tutte le crisi che stiamo vivendo in questa complessa fase storica rappresentino, paradossalmente, una grande opportunità. Un’opportunità preziosa per riscoprire il senso e la bellezza della nostra vita. Come affermava Victor Hugo: “Ciò che fa notte dentro, può lasciarci le stelle.” La notte, con la sua oscurità, può giocare un ruolo decisivo nello svelare all’uomo le profondità della sua stessa anima, richiamandolo alle radici della sua grandezza. È proprio nei momenti di difficoltà che possiamo riscoprire le verità fondamentali della nostra esistenza, ritrovando così quelle “stelle” interiori che illuminano il cammino verso un’esistenza più autentica e ricca di significato.

Il desiderio, infatti, è il segno tangibile della nostra mancanza di cielo, della nostalgia per una vita più piena e completa che ogni essere umano avverte in sé. Non a caso, la parola “desiderio” deriva dal latino “de-sidera”, letteralmente “mancanza di stelle”. Questa mancanza ci spinge a cercare qualcosa di più grande, qualcosa che trascenda l’ordinario e ci conduca verso l’Infinito.

Percepire questa mancanza è di vitale importanza. La nostalgia di un’esistenza più piena e autentica ci ricorda che nella nostra vita c’è qualcosa di fondamentale che non può essere colmato con l’abbondanza materiale. La vera pienezza non si misura in beni, ma in significati. Uno dei drammi più profondi della nostra epoca è la crisi del desiderio: non solo la mancanza di desiderio, ma addirittura la perdita della consapevolezza di questa nostra mancanza di cielo, per usare un ossimoro, potremmo chiamarla “l’assenza della mancanza d’infinito“. Questo esprime con forza il paradosso del nostro tempo: non solo abbiamo perso il desiderio di qualcosa di più grande, ma siamo persino inconsapevoli di questa perdita. Non avvertiamo più il vuoto creato dalla mancanza di un orizzonte infinito, quella tensione che un tempo ci spingeva a cercare significato e trascendenza. È un’apatia che non ci priva solo della realizzazione, ma anche della capacità di desiderarla.

Il problema della denatalità è solo uno dei riflessi di questa mancanza di desiderio. La mancanza di aspirazione e proiezione verso il futuro si riflette nella difficoltà sempre maggiore di pensare ad una vita che vada oltre il nostro individualismo immediato. Fare figli, dare vita, richiede una profonda intenzionalità, un impegno verso qualcosa che ci trascende e che durerà ben oltre il nostro tempo. Tuttavia, quando il desiderio di futuro e di pienezza si spegne, l’idea stessa di generare una nuova vita perde di significato.

La denatalità, in questo senso, non è solo un problema demografico o economico, ma una questione esistenziale e spirituale. Essa riflette la crisi di un mondo che ha perso il contatto con la propria mancanza di cielo, con il proprio bisogno di pienezza e di trascendenza. Senza desiderio, senza quella spinta che ci porta a guardare oltre noi stessi e ad aspirare a una vita più ricca di significato, siamo destinati a rimanere intrappolati in un circolo vizioso di vuotezza e stagnazione.

Riconoscere questa mancanza, riscoprire il desiderio come motore della nostra vita, potrebbe essere la chiave per affrontare le grandi sfide del nostro tempo, verso una vita piena e intenzionale, capace di una ritrovata creatività vivace, generativa e partecipativa.

Il Censis ci ha recentemente descritti come un “popolo di sonnambuli”, un’espressione potente che fotografa la condizione di apatia collettiva in cui sembriamo immersi. Ma come possiamo risvegliarci da questo nostro torpore? Come scuoterci da un’indifferenza che ci vede addormentati, proprio mentre gli eventi drammatici intorno a noi dovrebbero tenerci ben svegli e all’erta?

È proprio qui che entrano in gioco gli artisti.

In fondo, qual è il vero senso del nostro lavoro? Comporre musica, scrivere poesie, dipingere quadri: tutte attività apparentemente belle ma non considerate “essenziali”. Niente di più sbagliato! Questo è il pregiudizio radicato nella società, un luogo comune che riduce l’arte a semplice intrattenimento colto, un accessorio di lusso per chi può permetterselo. Purtroppo, molto spesso sono proprio gli artisti a perpetuare questo errore, autoescludendosi dalla dignità e dall’importanza che li caratterizza.

Fino a quando vedremo l’artista come qualcuno incaricato di dipingere un quadro che si abbini alle nostre tende o al nostro divano, resteremo prigionieri di questo pregiudizio. Ma l’arte è molto di più di una decorazione. Come affermava Henry Miller: “L’arte non insegna nulla, tranne il senso della vita”.

Il contributo dei poeti e degli artisti è fondamentale in questa prospettiva di risveglio del desiderio e della motivazione. Come ricordava Antoine de Saint-Exupéry: “Se vuoi costruire una nave, non radunare uomini per tagliare la legna e assegnare compiti. Insegna loro la nostalgia del mare vasto e infinito”.

Ecco il cuore della questione: gli artisti risvegliano in noi la nostalgia del vasto e dell’infinito, la sete di verità, giustizia, senso e bellezza che alberga in ogni essere umano. Solo quando siamo toccati da questa nostalgia profonda troviamo la motivazione per costruire la nostra “barca” e affrontare le sfide immense che la storia ci impone.

L’animo umano è intrinsecamente abitato dal desiderio di trascendere i propri limiti. La bellezza, con la sua fragile ma potente presenza, diventa custode di questo desiderio irrinunciabile, un anelito verso qualcosa di più grande, che l’arte riesce a risvegliare e nutrire.

Francesco Astiaso Garcia